
Lunghe passeggiate
Lunghe passeggiate, facciamo lunghe passeggiate e il parco è pieno di acquitrini dopo la pioggia, c’è una strada costellata di cocci come di case abbattute, ci sono lunghi tronchi svuotati dove vivono gli insetti. Gli insetti invece sono ragni schifosi e zanzare con le zampe storte. Mi piacciono i lombrichi. I ragni schifosi no. I lombrichi li cerchiamo per pescare. Mangiano la terra i miei lombrichi.
I lombrichi si chiamano anche vermi e mangiano il terriccio. Da una parte lo mangiano e dall’altra lo rimettono a posto. Lui dice che la terra è buona se passa prima da un lombrico. Ma noi li portiamo via lo stesso. Per prenderli bisogna scavare un pochino e poi aspettare di vederne uno. E’ rosa. Una volta ne è passato uno nero enorme e lui l’ha preso e l’ha schiacciato per terra. Quelli rosa invece li prendiamo delicatamente e li mettiamo nella scatola che sa di pesce, e poi io la agito e loro fanno rumore.
Le mosche invece sono schifose e lei le ammazza tutte e a volte sul tavolo ce ne sono anche dieci morte ma alcune no. Io quelle un po’ vive le metto in un barattolo e lo agito fortissimo e poi le guardo cosa fanno. Poi lo metto in frigorifero. Quando sono fredde sembrano tutte morte ma io le metto nel forno un po’ e loro cominciano a camminare piano piano poi mi annoio e le faccio uscire sul tavolo e le spingo con la forchetta e guardo.
Camminano tutte e alcune fanno le capriole con le zampe per aria e alcune vanno a dar le testate a quelle morte schiacciate. Poi mi annoio e vado via e quando torno le mosche sono morte proprio tutte, e qualcuna è caduta sotto il tavolo, allora io le raccolgo due o tre e le metto nel bicchiere con il caffè della zia che lo tiene sempre pieno e poi lo beve quando è freddo. La zia mi dà sempre degli ordini e non è mai gentile allora io le metto le mosche e lei non se ne accorge perché beve sempre fino a un centimetro di caffè e poi lo butta nel secchio perché sul fondo ci sono le polveri che lei dice fanno venire l’acidità.
Non so cosa pensassi della vita a quel tempo, non intendendo la vita come questione filosofica, ma la vita, la vita che scorreva nelle cose intorno e le rendeva, appunto, vive. La vita che usciva dalla terra in lunghi fili d’erba, la vita degli insetti, la vita dei gatti intorno a casa mia, la vita, quella dei vegetali nel nostro orto, quella dei pesci di mio nonno, la vita del mio cane, la vita che era ovunque e non faceva che mostrarsi.
Non so che idea mi fossi fatto di questo qualcosa che entrava dentro le forme e le rendeva turgide, verdi, le spingeva verso il cielo, oppure le faceva muovere, in nugoli o biche o greggi, o solitarie come ombre ma pur sempre vive, che lanciavano i loro richiami, latrati, fischi, soffi o miagolìì, non so cosa volesse dire per me, visto che uccidevo talvolta con l’ingenuità dei miei anni, con la crudeltà meticolosa che è stata propria di tutti noi.
Forse era solo un fatto di misure, mi accanivo sulle mosche, sugli insetti più piccoli e docili, stavo lontano dalle vespe, dai calabroni, dai ragni che anche se non mordevano mi ispiravano ribrezzo. Arrivavo a tormentare un gatto, o una gallina, ma difficilmente mi spingevo oltre. I vegetali e i minerali non ponevano invece problemi dimensionali, mi provavo ugualmente su un filo d’erba, fino a strapparlo e a masticarlo in una poltiglia succosa, come su un grosso albero, o su una parete di pietra.
Era facile scalfire, tagliare, piantare chiodi, dare calci, scorticare, e persino lanciare insulti; loro non rispondevano, erano lenti, estremamente lenti rispetto alla mia vita. Forse non coglievano neanche il mio accanimento, o hanno risposto solo anni dopo, un muoversi di fronde, una crepa nella roccia, hanno risposto ed io non ero già più lì, ero cresciuto, ero diventato vegetariano, rispettavo la vita per quanto potevo in ogni sua forma, ma loro mi conoscevano ancora per ciò che ero, e d’altronde, rispetto al loro tempo così dilatato, io non ero affatto cambiato.
Autore: Niccolò Angeli
